sabato 31 marzo 2018

Fuggire per Amore



Ripetutamente mi chiedo che cosa sia l’amore e in quali forme estetiche e intrinseche quest’ultimo si possa realmente tradurre. Normalmente non trovo alcuna risposta sensata nel visualizzare post contenenti immagini e aforismi che lasciano trasparire un’ampia percentuale di superficialità ed esibizionismo. Volendo trattare questa specifica e delicata area tematica non riuscivo a trovare alcun motivo che fosse d’ispirazione, alcun evento che realmente potesse aiutarmi nel modesto intento preposto di redigere e fissare definitivamente un pensiero, fino a quando la sorte, accompagnandomi amorevolmente per mano, mi ha fatto scoprire una straordinaria e stupenda storia d’amore che fonda le sue radici su una concezione di vita prettamente diversa da quella adottata dalla maggior parte dei soggetti che popolano la nostra ordinaria società contemporanea: un sistema di pensiero e d’azione assolutamente resiliente. Destinity e Israel, questi i nomi dei protagonisti della mia narrazione. Non due personaggi frutto dell’immaginazione e del processo di invenzione personale. Due volti, due cuori e due anime realmente esistite. Madre e Figlio. Con il termine “resilienza” in ambito psicologico s’intende la capacità di un individuo ad affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di estrema difficoltà opponendo un dosaggio di resistenza tale da permette a quest’ultimo di sopravvivere, continuando il proprio cammino, ossia l’intricato percorso che giunge alla scoperta del Senso della Vita. Questo fu lo spirito critico e l’atteggiamento assunto da Destinity, consapevole della caducità della propria condizione esistenziale e del pericolo nel quale il figlio, Israel, avrebbe potuto incorrere se la madre non avesse immediatamente preso adeguati e idonei provvedimenti che nel corso dell’incedere del tempo avrebbero permesso al figliuolo di cominciare a godere di maggiori diritti, rivelando le scelte della donna di notevole intuizione.                                         
Malata ormai da tempo, Destinity incominciò a pensare che lo Stato nel quale viveva con la sua famiglia non avrebbe potuto certamente essere il migliore per la crescita e lo sviluppo culturale di suo figlio, prossimo alla nascita. Il 9 febbraio 2018, al settimo mese di gravidanza, presa dalla disperazione, tentò la traversata del Colle della Scala, impiegando tutte le forze fisiche per compiere questa impresa titanica. Non era da sola, ad accompagnarla il marito nigeriano, anch'egli richiedente asilo politico. Senza alcun ritegno, dopo esser stati intercettati dalla gendarmeria francese vennero immediatamente riportati in Italia con un atto di inaudita e feroce violenza morale, come descrive anche Paolo Narcisi, presidente dell'associazione “Rainbow 4 Africa” che dall'inizio dell'inverno ha assistito almeno un migliaio di migranti a Bardonecchia: “Li hanno lasciati davanti alla saletta di Bardonecchia senza nemmeno bussare alla dottoressa che era di turno all'interno”.                       
Destinity, 31 anni, stava male. Non riusciva a respirare e nemmeno a stare seduta a causa di un linfoma che da diversi mesi stava mettendo a dura propria la giovane, che da qualche minuto giaceva stremata al suolo, avvolta dal gelo rafforzato dalle forti raffiche di vento che si abbattevano ferocemente contro il suo corpo e il suo ventre materno. La donna è stata successivamente trasportata in ospedale prima a Rivoli e poi al Sant'Anna di Torino, dove è rimasta ricoverata per oltre un mese. Nonostante le cure offerte dal personale medico della struttura sanitaria nella quale era ricoverata, Destinity morì poche istanti dopo aver dato alla luce il piccolo Israel, un grazioso pargolo che al momento del parto pesava meno di un chilo. 
"Le autorità francesi sembrano avere dimenticato l'umanità - dice Narcisi - I corrieri trattano meglio i loro pacchi". I gendarmi, anziché accompagnarla al vicino ospedale di Briancon, l'hanno scaricata davanti alla stazione di Bardonecchia come un pacco postale".
A rincuorarci, le notizie che vengono fornite dai dottori: “Il bambino ora pesa quasi novecento grammi. All'inizio ha avuto bisogno di assistenza durante il processo respiratorio ma attualmente sembra che il quadro clinico del paziente si stia stabilendo, presentando parametri accettabili. Sta diventando progressivamente sempre più autonomo e nel complesso possiamo definirci ottimisti, nonostante sembra prospettarsi un processo di cure particolarmente lungo.” - spiega Enrico Bertino del reparto ospedaliero di neonatologia.
Adesso, dopo aver delineato un quadro prospettico adatto a includere molteplici fattori che ci consentano di utilizzare una chiave interpretativa tramite la quale definire con assoluta e meticolosa precisione il contesto narrato, compiamo un passo indietro soffermandoci sulla frase precedentemente riportata: “I corrieri trattano meglio i loro pacchi”. Alla mente ritorna l’evento della scorsa settimana, portato all’interesse della stampa nazionale da Maria Bordoli attraverso la pubblicazione di un articolo intitolato: “Può il Sindaco spedire a Milano dodici immigrati?”, il quale narrava: “Leggo che il Sindaco di Gallarate ha messo sul treno dodici immigrati irregolari spedendoli, letteralmente, a Milano. Premesso che penso che il problema degli irregolari esista e che vada affrontato con spirito realistico e non con una dose eccessiva di buonismo, mi chiedo se questo comportamento sia consentito dalla Legge. Di questo passo, qualunque primo cittadino potrebbe comportarsi nello stesso modo”.
Ritornando alla riflessione principale, credo che ognuno di Noi, prima di addormentarsi abbia l’onore di pensare, anche solo per una frazione di secondo che, a pochi passi dal proprio letto, nel quale è possibile assaporare e gustare il caldo tepore scaturito dalle confortevoli coperte di cotone, in quel preciso istante vi sono tantissimi Destinity e Israel che cercano solo di raggiungere la salvezza: chi oltrepassando un confine segnato da barriere architettoniche naturali come in questo caso, chi attraversando il mare sopra un gommone (Cavalcando le onde seduti a cavalcioni sopra le cosiddette “carrette”, così come vengono definite le misere imbarcazioni utilizzate dai migranti per compiere il "Viaggio della Speranza") che sta maledettamente imbarcando acqua da tutte le parti mentre si levano all'immobile, attonito e impotente  firmamento grida di dolore, chi arrampicandosi su muri e staccionate ancorati al terreno che separano uno Stato dall'altro, una città dall'altra, un quartiere dall'altro, un fratello dall'altro. Sono ormai lontani i tempi del Muro di Berlino e della guerra fredda, di questo dovremmo incominciare ad accorgercene. Tra l’anno 1989 e il 2018 intercorre certamente un lasso temporale particolarmente tangibile e cospicuo eppure sembra che i comportamenti sociali uniti in perfetto connubio con l’odio razziale e divisorio siano rimasti pressoché immutati, nonostante il lento scorrere delle stagioni. Nell'era in cui viviamo, il nostro dispositivo mobile cellulare ci consente di rimanere sintonizzati con piattaforme sociali online attraverso le quali avviene una continua e perpetua condivisione di materiale digitale. Ma nella vita reale, siamo davvero sicuri di essere in grado di condividere passioni, sentimenti, emozioni, sensazioni e dolori? Nella vita reale siamo davvero propensi a supportare un nostro fratello? Disposti a porre un like, un’emoticon o una reaction in segno di apprezzamento, molto spesso ci rifiutiamo visibilmente di tendere una mano al prossimo che stramazza al suolo, chiedendo miseramente pietà. A volte, forse, basterebbe svincolarci dalla realtà virtuale, uscire dalla perenne schermata da videogame che contraddistingue il nostro vivere monotono per capire che in qualche parte del mondo vi sono tantissimi bambini come Israel e tantissime mamme come Destinity che stanno implorando il nostro aiuto che probabilmente non giungerà mai o cadrà nel distaccato, attonito e freddo rifiuto tipico di un mondo disumano. Mi chiedo, quindi, quale potrebbe essere il giudizio che le future generazioni attribuiranno al nostro operato inattivo, ma essendo un provocatore accanito e un amante delle domande retoriche chiudo la mia trattazione con un aforisma di Alessandro Manzoni che continua a trasmetterci un forte e simbolico messaggio da ben 197 anni: “Ai posteri, l’ardua sentenza”.

Francesco Pivetta

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