venerdì 26 settembre 2008

La seconda vita di Adam:

Per "Articolo 10" raccontiamo la storia di un giovanissimo eritreo vivo per miracolo La seconda vita di Adam, scampato alla guerra e al naufragioDopo essere andato in Sudan con la mamma e il fratellino, viene abbandonato di Gianpietro Occhiofino “Mi chiamo Adam e sono nato a Barentu (Eritrea, ndr) il 20 gennaio 1989. Ero un appartenente del gruppo etnico chiamato Kunama, tribù di pastori che vive separata dal resto della popolazione nelle aree rurali e montagnose del paese”. Fin dalla sua più giovane età Adam, seguendo l’esempio di suo padre, si dedicò alla pastorizia. “Quando avevo otto anni, il conflitto tra Etiopia ed Eritrea raggiunse anche la zona del Barentu. Per garantire la sicurezza dei propri figli, mia madre decise di abbandonare il Paese. Così, io, mio fratello più piccolo e mia madre ci trasferimmo in Sudan, lasciando mio padre in Eritrea. Di lui non ho avuto più alcuna notizia”. Anche in Sudan Adam continuò il suo lavoro, come pastore, alle dipendenze di un allevatore locale. “Il trattamento riservato a me era ai limiti dello schiavismo. Il comportamento nei miei riguardi era simile a quello che riservava ai suoi animali. Mi costringeva a vivere segregato sulle montagne. Poi, nel 2003, fui anche abbandonato da mia madre. Fuggì senza darmi alcuna spiegazione”. Mentre ricorda quel periodo, non riesce a trattenere le lacrime. “Non sono mai riuscito a capire il motivo che spinse mia madre a scappare con mio fratello più piccolo”. Da un giorno all’altro, di colpo, Adam si ritrovò a vivere da solo. “Riuscii a sopportare ancora per qualche tempo le angherie alle quali ero sottoposto sul luogo di lavoro, senza poter trovare protezione o aiuto da parte delle autorità locali. Né, tanto meno, ottenni una qualche forma di solidarietà tribale in Sudan, poiché considerato straniero”. Nel maggio del 2005 si presentò l’occasione per fuggire. “Decisi di abbandonare il mio padrone. Attraversai il deserto munito di datteri e acqua e raggiunsi la Libia”. Rimarrà lì all’incirca per un anno. “Raccolsi mille euro. Lavoravo come garzone in un piccolo negozio di Tripoli. Il ricordo più brutto che mi lega a quell’esperienza è il viaggio per l’Italia”. Adam ci confessa, infatti, che durante la traversata del canale di Sicilia il barcone sul quale si trovava affondò. “Molti degli occupanti morirono annegati. Tra questi anche donne e bambini. Non potrò mai dimenticare le loro grida d’aiuto. Il mare, quel giorno, era molto agitato. La verità è che dovevamo impedire a quei criminali di partire. Purtroppo, noi eravamo troppo deboli e loro troppo cattivi”. Assieme ad altri dieci naufraghi fu tratto in salvo da un peschereccio tunisino. A distanza di qualche giorno, giunto in Italia, chiese asilo politico. Oggi vive e lavora a Bari, con un regolare permesso di soggiorno. “La vita mi ha sorriso e io ho sorriso a lei. Quel giorno potevo morire anch’io in mare e nessuno avrebbe mai conosciuto la mia storia. Grazie a Dio posso dire di essere nato una seconda volta”.

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