mercoledì 30 gennaio 2008

REPORTERS SANS FRONTIERES

ERITREA "Il giornalista Seyoum Tsehaye si trova nella cella numero 10 della Sezione A01": nuove rivelazioni sulla prigione di Eiraeiro Alla vigilia del vertice dei capi di Stato dell'Unione Africana (31 gennaio-2 febbraio 2008), Reporters sans frontières esorta i Paesi membri ad intervenire presso le autorità eritree. Inoltre RSF chiede all'Unione Europea di applicare sanzioni individuali contro i responsabili della prigione. Il giornalista eritreo indipendente Seyoum Tsehaye, ultimo vincitore del Premio Reporters sans frontières – Fondazione di Francia, è ancora in vita e risulta detenuto nella cella numero 10 della Sezione A01, riservata ai prigionieri politici più "pericolosi", della prigione chiamata "Eiraeiro", situata in prossimità di Gahtelay, a nord della strada Asmara-Massaoua. Questa informazione è stata trasmessa a Reporters sans frontières nel mese di gennaio 2008 da un informatore eritreo, che chiede di rimanere anonimo, dopo essere riuscito a penetrare nel penitenziario, un carcere segreto nascosto in una regione montagnosa e desertica del Paese. Secondo quanto ha riferito questo testimone, Seyoum Tsehaye è stato trasferito a Eiraeiro nel 2003. Molto agitato, il cranio rasato, con una lunga barba, Tsehaye si è più volte ribellato ai soldati incaricati di sorvegliarlo, rifiutando il cibo del carcere e continuando a ripetere: "ho solo fatto il mio lavoro", "era mia responsabilità..." "non me ne importerebbe nulla di morire qui"... Di Seyoum Tsehaye, tornato alla fotografia e al suo lavoro di regia cinematografica dopo essere stato direttore della televisione pubblica all’indomani dell'indipendenza del Paese, non si erano più avute notizie dal mese di aprile 2002. Proprio in quel periodo, numerosi detenuti politici, con a capo Fessehaye Yohannes detto "Joshua", erano stati trasferiti dalle autorità in un luogo sconosciuto, per nascondere all’opinione pubblica lo sciopero della fame iniziato dai prigionieri ai quali era stato negato il diritto di essere processati. Con una decina di altri direttori di giornali e capi-redattori, Seyoum Tsehaye era stato fermato durante l’ondata di arresti voluta, nel settembre 2001, dal presidente Issaias Afeworki e dai suoi collaboratori, dopo che numerosi esponenti del partito unico e dell’esercito avevano pubblicamente chiesto riforme democratiche per il Paese. L’informatore di Reporters sans frontières ha descritto con precisione il carcere, il suo funzionamento e le condizioni di detenzione dei prigionieri. Alcune informazioni al riguardo sono state diffuse nel 2006 a seguito di un rapporto dei servizi segreti etiopi. Si trattava tuttavia di testimonianze indirette. Questo rapporto sintetizza invece le cose viste e descritte dal nostro testimone diretto – che ha incontrato un rappresentante di Reporters sans frontières – e che conferma le prime informazioni diffuse su questo carcere di alta sicurezza, considerato "non il peggiore dell’Eritrea." Come vi si entra I prigionieri destinati a Eiraeiro vi sono condotti, gli occhi bendati, su una jeep. Il carcere si trova a pochi chilometri dal villaggio di Gahtelay, nella regione del Mar Rosso settentrionale. Le variazioni climatiche che caratterizzano questa regione sono notevoli. Le temperature diurne possono raggiungere i 40 gradi e, durante la notte, possono scendere sotto lo zero. A metà strada tra il villaggio d’Asus e la città Filfil, una nuova strada si snoda in una zona montagnosa ricoperta, in passato, da una piantagione di caffé. Dopo circa 45 minuti di viaggio, il percorso è interrotto da un primo check-point. Numerosi soldati sorvegliano questo primo posto di blocco che può essere superato unicamente con un lascia-passare timbrato dall’ufficio presidenziale. Il responsabile del posto di blocco deve telefonare al direttore del penitenziario e procedere all’ispezione dell’auto prima di permettere al prigioniero e ai suoi sorveglianti di continuare il viaggio verso quella che nelle cartine militari dell’esercito viene definita "zona 346". Dal 2005, le unità speciali incaricate di sorvegliare il penitenziario indossano uniformi beige mimetiche e, prima di essere destinati al carcere, sono costretti a giurare di non rivelare mai nulla su Eiraeiro. Ognuno di loro dispone di un mitra AK-47 e di un manganello. A circa un chilometro dai cancelli del campo, si trovano le abitazioni dei guardiani di Eiraeiro e un secondo posto di blocco. Da un lato, la prigione è delimitata da una barriera di filo spinato e dall’altra parte (a Nord) da un campo minato. Dopo questo secondo check-point, i prigionieri sono condotti nell’ufficio del direttore del carcere che si trova in un edificio diverso da quello dove sono detenuti i prigionieri. Il primo edificio contiene anche un panetteria, un’infermeria, una farmacia, e una camera da letto riservata agli esponenti politici di Asmara in visita (es. il Presidente Issaias Afeworki.) I prigionieri sono presentati al direttore del carcere, il luogotenente-colonnello Isaac Araia, detto "Wedi Hakim". Tutti i prigionieri, ma anche gli agenti della scorta e i rappresentanti politici e militari in arrivo da Asmara devono lasciare all’ingresso tutti i loro effetti personali, in particolare eventuali fogli di carta e penne. Il direttore verifica l’autenticità dei lascia-passare presentati e degli altri documenti in una stanza sorvegliata da due telecamere. In seguito, consegna ai prigionieri la loro futura "divisa": un pantalone e una camicia blu; due coperte militari e una stuoia. Un gulag africano A piedi scalzi, sotto scorta, non autorizzati a guardare o rivolgere la parola agli altri detenuti e alle guardie, i prigionieri entrano in questo modo nel penitenziario delimitato da un muro di 4 metri di altezza. La prigione è composta da tre « blocchi » : edifici di cemento a forma di E, composti da 64 celle ermeticamente separate da muri spessi. Ad ogni ala di questi «blocchi » corrisponde una lettera e un numero. Le tre ali del blocco dove sono detenuti i prigionieri più «pericolosi » (es.: i giornalisti), vengono denominate : A01, B01 e B03. In ogni ala, una prima fila di celle si affaccia sull’esterno. Le altre si affacciano sulla parte interna dell’edificio. "Questi blocchi di cemento sono stati costruiti in modo che i detenuti non possano mai incrociare, neanche con lo sguardo, gli altri prigionieri", ha spiegato l’informatore a Reporters sans frontières. Le celle sono dei vani senza finestre di tre metri per lato. Le pesanti porte metalliche, tutte numerate, non si aprono neanche quando i carcerieri portano i pasti : questi vengono inseriti nella cella attraverso un’apertura della porta. Il rubinetto dell’acqua delle celle funziona solo con l’autorizzazione del direttore del Campo. Se le guardie vogliono punire un prigioniero che si è «comportato male» (ovvero un prigioniero che ha rivolto uno sguardo o una parola a un altro prigioniero o a un soldato), legano le mani e i piedi del detenuto e lo incatenano ad una barra di ferro presente in ogni cella. Il prigioniero è così costretto a restare legato ed inginocchiato per "almeno 40 ore" secondo quanto ha riferito l’informatore a RSF. Inferno quotidiano Le celle dove i prigionieri vivono, totalmente isolati, sono illuminate 24 ore su 24 dalla luce elettrica. Alcuni sono scalzi e sempre ammanettati. Quando non sono rinchiusi nelle loro celle, i prigionieri sono condotti in una delle tre sale dove si svolgono gli interrogatori. Questi sono spesso condotti da Abdulla Jaber, responsabile della sicurezza del partito al potere, il Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (PFDJ), e da alti responsabili come Yemane Gebremeskel, detto "Monkey", capo del Gabinetto e portavoce del presidente Issaias Afeworki. Durante gli interrogatori, i prigionieri sono torturati. Vengono per esempio colpiti con delle fruste di plastica. Sulle pareti di queste stanze sono dipinte delle frasi. Una di queste dice: "Avete visto quelli che sono morti prima di voi ?" E un’altra: "Se non amate il messaggio, uccidete il messaggero." I prigionieri sono rasati ogni due mesi da un barbiere, scortato da alcune guardie che lo sorvegliano affinché non parli con i detenuti. Ricevono due pasti al giorno, in una scodella di plastica: un brodo con lenticchie, verdure o patate e, per la prima colazione, una tazza di thé e sei pezzetti di pane. Ricevono solo un litro di acqua al giorno. I prigionieri più debilitati possono ricevere una porzione di acqua supplementare, ma solo se prescritta dal medico del penitenziario, il Dottore Haile Mihtsun. Il responsabile del campo fa aprire i rubinetti dell’acqua delle celle per solo venti minuti alla settimana, obbligando i prigionieri a lavarsi e lavare i propri vestiti durante questa breve pausa. Nel 2006 e nel 2007, grazie ai suoi informatori ad Asmara e all’estero, Reporters sans frontières ha scoperto che ben nove prigionieri ad Eiraeiro avevano perso la vita durante la detenzione. Tra loro: Yusuf Mohamed Ali, capo redattore di Tsigenay, che sarebbe morto il 13 giugno 2006, Medhane Haile, vice capo redattore di Keste Debena, che sarebbe morto nel febbraio 2006 e Said Abdulkader, capo redattore di Admas, che sarebbe morto nel marzo 2005. Il poeta e drammaturgo Fessehaye Yohannes, detto "Joshua", co-fondatore del settimanale proibito dalle autorità Setit, sarebbe invece morto l’11 gennaio 2007. Il testimone interrogato nel gennaio 2008 da RSF ha confermato il decesso in carcere di "Joshua", detenuto nella cella n. 18. Inoltre, il testimone ha evocato l’esistenza di un cimitero « dietro l’edificio dove vive il responsabile del campo, dove sarebbero state sepolte almeno sette persone". Raccomandazioni Il carcere "Eiraeiro" è una vergogna per l’Eritrea e per l’Africa. Con l’avvicinarsi del vertice dell’Unione africana (UA), i capi di Stato del continente africano non dovrebbero più ignorare la spaventosa crudeltà del governo eritreo e la violenza che esercita nei confronti di tutti coloro che considera potenzialmente pericolosi al mantenimento del suo potere. Alla luce di queste informazioni, Reporters sans frontières raccomanda: Ai capi di Stato dell'UA e alle grandi democrazie di convocare l’Ambasciatore eritreo nelle loro rispettive capitali per esprimere il loro disgusto per il trattamento disumano riservato ai prigionieri politici, e per chiedere la loro liberazione. I governi dell'UA e degli altri Stati democratici dovrebbero inoltre chiedere la fine del racket organizzato dalle ambasciate eritree per finanziare il governo di Asmara. La diaspora eritrea all’estero è in effetti costretta a versare almeno il 2% dei loro redditi all’Ambasciata eritrea del Paese dove si trovano. Se non lo facessero non sarebbero più autorizzati a tornare in Patria, a conservarvi eventuali proprietà o inviare beni ai propri familiari. All'Unione Europea (UE) di comminare sanzioni individuali contro i principali responsabili della repressione attuata nelle carceri eritree. Il visto di ingresso per i Paesi-membri dell’UE non dovrebbe, per esempio, mai essere concesso alle persone seguenti: Yemane Gebremeskel, capo di Gabinetto e portavoce del Presidente (che spesso si è recato a Eraeiro e nelle altre prigioni segrete del Paese); Yemane Gebreab, consigliere speciale del Presidente ; il generale Sebhat Ephrem, ministro della Difesa ; Isaac Araia, detto "Wedi Hakim", responsabile amministrativo di Eraeiro; Naizghi Kiflu, ministro del Governo locale e dell’Informazione, responsabile dell’ondata di arresti di 2001 ; Ali Abdu, ministro dell'Informazione ad interim, responsabile della propaganda; il dottore Haile Mihtsun, medico di Eraeiro ; il colonnello Michael Hans, detto "Wedi Hans", comandante della 32esima divisione, responsabile della zona ; il colonnello "Wedi Welela", capo dei servizi di informazione della Zona amministrativa numero 5; il Maggior Generale Gerezghiher Andemariam, detto "Wuchu", ex amministratore del campo. Per ulteriori informazioni : 47 rue Vivienne - 75002 Paris – Tel : 33 1 44 83 84 76 – Fax : 33 1 45 23 11 51 afrique@rsf.org

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